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Nel corso del Novecento, l’Italia ha attraversato una fase storica molto difficile, segnata dalla nascita del regime fascista (1922-1943). Durante questo periodo, la libertà di pensiero, di parola e di stampa fu fortemente limitata. Il governo fascista cercava di controllare tutta la produzione culturale attraverso il Ministero della Cultura Popolare, che imponeva rigide regole di censura: i libri dovevano essere approvati prima della pubblicazione e quelli contrari all’ideologia del regime venivano vietati.
In questo contesto, gli scrittori si trovarono davanti a una scelta molto delicata: accettare il fascismo magari per ottenere vantaggi e protezione, oppure opporsi e rischiare censure, persecuzioni o l’esilio. La letteratura divenne così un mezzo per sostenere il regime oppure per combatterlo e denunciarne la violenza.
Questo percorso si concentra su due figure molto diverse ma entrambe fondamentali per capire il rapporto tra cultura e potere in quel periodo:
Gabriele D’Annunzio, che con il suo stile e le sue idee influenzò profondamente l’immaginario fascista;
Emilio Lussu, che invece visse sulla propria pelle la repressione e scelse di raccontare la verità attraverso una testimonianza diretta e coraggiosa.
Gabriele D’Annunzio (1863–1938) fu uno scrittore, poeta, soldato e politico italiano. È noto per il suo stile raffinato e provocatorio, il gusto per il lusso e l’azione. Partecipò alla Prima guerra mondiale e nel 1919 guidò l’Impresa di Fiume, occupando la città con un gruppo di volontari. Le sue idee, pur non essendo ufficialmente fascista, erano vicine al fascismo per il loro carattere nazionalista e autoritario.
Nel romanzo Le vergini delle rocce (1895), D’Annunzio presenta il suo “Manifesto politico del Superuomo”, rappresentato dal personaggio di Claudio Cantelmo, un aristocratico che vuole creare una nuova classe dominante, capace di riportare Roma al suo antico splendore.
Nel testo esprime un forte disprezzo verso le masse popolari, definite “plebi”, viste come ignoranti, volgari e prive di valori. D’Annunzio osserva Roma come una città decadente anche dal punto di vista morale e sogna l’arrivo di un uomo straordinario, forte e deciso, che possa governare come fece Napoleone.
Critica la democrazia che, secondo lui, non garantisce buon governo: per comandare servono forza e volontà, non solo il voto. Ritiene che solo pochi individui superiori siano adatti a governare.
Secondo D’Annunzio, lo Stato non dovrebbe rendere tutti uguali, ma aiutare i migliori a emergere. Le masse non sono fatte per essere libere, ma per obbedire. La sua visione è quindi profondamente anti-egualitaria e autoritaria.
Lo stile dannunziano è solenne e raffinato, pieno di parole difficili, antiche (arcaismi) e di espressioni colte.
Questo tipo di linguaggio non è mai semplice o diretto e anche quando usa toni ironici o critici verso il mondo moderno, lo fa sempre in modo elevato e teatrale.
Il suo linguaggio rispecchia perfettamente l’ideologia antiborghese: D’Annunzio non ha fiducia nella gente comune ma esalta un’élite dominante.
È convinto che la bellezza, la forza e il coraggio siano qualità di pochi, non di tutti.
Claudio Cantelmo rappresenta il "superuomo", un ideale ispirato al filosofo Nietzsche: un uomo superiore, energico, fiero, che disprezza la massa e la democrazia, e vuole dominare le “plebi”. Questo personaggio incarna valori come l’autoritarismo, il culto della forza e il rifiuto dell’uguaglianza, che sarebbero poi esaltati dal fascismo.
Anche se D’Annunzio non fu mai iscritto al Partito Fascista, le sue idee e il suo comportamento influenzarono profondamente il regime. Il suo rapporto con Mussolini fu complesso: non erano alleati, ma Mussolini riconosceva l’importanza culturale e simbolica di D’Annunzio, e ne riprese molti riti, simboli e stili di comunicazione, come il saluto romano e le adunate di massa.
Nel 1919 D’Annunzio guidò l’Impresa di Fiume, occupando la città con un gruppo di legionari. In quell’occasione mise in scena un governo teatrale, con discorsi enfatici, slogan e un forte senso di nazionalismo. Molti di questi elementi furono poi adottati dal fascismo.
Mussolini temeva che D’Annunzio potesse diventare un rivale. Poco prima della Marcia su Roma, D’Annunzio cadde da un balcone e si ferì. Alcuni storici pensano che fu un incidente “provocato”. Per tenerlo lontano dalla politica, Mussolini gli offrì onori e una pensione. Così, D’Annunzio fu celebrato pubblicamente ma escluso dai giochi di potere.
Le idee di D’Annunzio avevano molti punti in comune con il fascismo:
Superomismo → culto del capo
Disprezzo per la democrazia → rifiuto dello Stato liberale
Esaltazione della forza → militarismo
Uso dei simboli → propaganda e spettacolo
D’Annunzio non creò il fascismo, ma preparò il terreno culturale. La sua opera mostra quanto la letteratura possa influenzare la politica, e come il potere possa usare la cultura per affermarsi.
Emilio Lussu (1890–1975) fu militare, politico e uno dei più importanti intellettuali antifascisti italiani. Nato in Sardegna, fu ufficiale nella Prima guerra mondiale, esperienza che raccontò nel libro Un anno sull’altipiano. Inizialmente favorevole alla guerra, cambiò idea dopo il conflitto e si avvicinò al socialismo.
Negli anni ’20 fondò il Partito Sardo d’Azione, contrario al fascismo. Per la sua opposizione al regime fu arrestato e confinato a Lipari, da dove fuggì nel 1929, rifugiandosi prima in Francia, poi in Svizzera.
All’estero fu tra i fondatori del movimento antifascista Giustizia e Libertà. Dopo la caduta del fascismo, partecipò alla Resistenza e poi fu ministro e senatore della Repubblica. La sua vita fu sempre guidata da un forte impegno per la libertà e la democrazia.
Il suo libro più famoso è Marcia su Roma e dintorni (1933), dove racconta episodi reali di violenza fascista, come l’attacco del 3 dicembre 1922 a Terranova. In particolare, nel capitolo “Il battesimo patriottico”, descrive come duecento fascisti costrinsero i prigionieri a bere olio di ricino in pubblico. Con uno stile ironico e amaro, Lussu mostra quanto questa violenza fosse crudele e assurda.
Nel 1922, la città di Terranova (oggi Olbia) fu teatro di un attacco fascista organizzato con l’aiuto di alcuni abitanti locali. Duecento fascisti armati partirono da Civitavecchia con l’obiettivo di sorprendere e conquistare la città, in gran parte antifascista. Arrivati all’alba, assaltarono le case degli oppositori, molti dei quali furono presi mentre dormivano. Alcuni riuscirono a fuggire, mentre altri furono legati e portati via.
Le forze dell’ordine non intervennero. I fascisti saccheggiarono le sedi delle associazioni antifasciste e mostrarono come trofei le bandiere rubate. Gli oppositori catturati furono umiliati pubblicamente nella piazza principale, dove fu organizzata una cerimonia detta “battesimo patriottico”.
Questa pratica, già diffusa nel nord Italia, consisteva nel costringere gli antifascisti a bere olio di ricino come “punizione” e simbolo di purificazione. Se si fossero rifiutati, sarebbero stati sottoposti a metodi violenti, anche con strumenti medici o sostanze peggiori. In alcuni casi si arrivava alla tortura o alla morte. Anche le donne erano vittime di questi abusi.
Quello di Terranova fu il primo caso di “battesimo patriottico” in Sardegna, segnando l’inizio della diffusione del metodo fascista anche sull’isola, che secondo l’autore, aveva finora seguito in ritardo i cambiamenti imposti dal regime.
Nel libro Marcia su Roma e dintorni, Emilio Lussu offre una testimonianza diretta delle violenze fasciste durante la loro ascesa al potere. Racconta episodi di aggressioni, umiliazioni e intimidazioni contro gli oppositori politici, spesso con la complicità delle forze dell’ordine. Lo stile di Lussu è ironico e amaro, e serve a mettere in evidenza quanto fossero assurde e crudeli queste azioni.
Il libro è una forte denuncia contro il fascismo e un invito alla resistenza e alla difesa dei valori democratici. Le forze dell’ordine, come la Guardia Regia, spesso non fermavano le violenze, ma le tolleravano o le appoggiavano. Questo contribuì a rafforzare il potere del regime e a diffondere paura tra gli oppositori, minando la fiducia nelle istituzioni.
La violenza fascista colpiva soprattutto socialisti, comunisti, sindacalisti e intellettuali ma anche cittadini comuni, operai e contadini. L’obiettivo era eliminare ogni forma di dissenso e mantenere il controllo attraverso la repressione e il terrore.
L’uso dell’ironia da parte di Emilio Lussu rende la sua denuncia contro il fascismo ancora più potente. Il suo tono sarcastico fa riflettere il lettore sull’assurdità e la crudeltà delle azioni fasciste, mostrando quanto fossero ipocrite e violente. Il sarcasmo colpisce come una lama: ci fa sorridere amaramente, ma ci spinge a pensare in profondità.
Nel libro "Marcia su Roma e dintorni", lo stile di Lussu è ironico proprio perché racconta eventi tragici fingendo normalità, sottolineando così quanto fosse assurda la realtà che descrive.
Un esempio chiaro è il capitolo “Il battesimo patriottico”, dove definisce “battesimo” un atto di violenza pubblica (l’obbligo di bere olio di ricino). L’uso del linguaggio religioso rende ancora più evidente l’assurdità del gesto.
Anche l’espressione “santità del rito” è ironica: rende ridicolo un atto disumano, smascherando la teatralità fascista.
Infine, quando Lussu scrive che la Sardegna “finalmente segue i progressi della civiltà nazionale”, finge che la violenza fascista sia un passo avanti, ma in realtà denuncia l’arrivo del terrore in un luogo che ne era stato risparmiato.
Lussu non rinuncia mai all’ironia, nemmeno nei momenti più duri, perché la considera un modo per smontare il potere, senza bisogno di urlare.
Dopo la caduta del fascismo e la fine della Seconda Guerra Mondiale, nacque il movimento letterario del Neorealismo. Gli scrittori neorealisti volevano raccontare la realtà quotidiana degli italiani, soprattutto dei più poveri e oppressi, in modo semplice e diretto. Tra i principali esponenti:
Italo Calvino: Con "Il sentiero dei nidi di ragno" raccontò la Resistenza attraverso gli occhi di un bambino.
Elio Vittorini: Autore di "Uomini e no", un romanzo che esplora il conflitto tra partigiani e fascisti a Milano.
Cesare Pavese: Nei suoi romanzi e racconti, come "La casa in collina", descrisse la solitudine e il senso di smarrimento del dopoguerra.
Il Neorealismo ha cercato di ricostruire la verità, dopo anni di propaganda e censura.
La letteratura italiana del Novecento è stata profondamente influenzata dai regimi totalitari. Mentre alcuni scrittori si sono avvicinati al potere, altri hanno scelto la via dell'opposizione, spesso pagando un prezzo alto. Dopo la guerra, il Neorealismo ha rappresentato un tentativo di ricostruire l'identità nazionale attraverso la narrazione della realtà quotidiana.
Il confronto tra D’Annunzio e Lussu mostra come la letteratura italiana del Novecento rispecchiasse una popolazione profondamente divisa dal fascismo.
D’Annunzio, con il suo stile ricco e il suo pensiero elitario, ha ispirato ideologie autoritarie.
Lussu, con la sua scrittura semplice e ironica, ha invece difeso la democrazia e denunciato le ingiustizie.
Studiare questi due autori ci aiuta a capire che la cultura può avere un grande potere: può servire il potere oppure può combatterlo.
Sta agli scrittori e anche a noi lettori, scegliere da che parte stare.