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Nel Novecento, i regimi totalitari come il fascismo e il nazismo cercarono di controllare ogni aspetto della vita dei cittadini, compresa la cultura. La musica, che è un potente mezzo di comunicazione, venne usata per trasmettere gli ideali dei regimi, esaltare i leader e rafforzare il consenso. Allo stesso tempo, le musiche ritenute "pericolose", "immorali" o "contrarie all’ideologia dominante" furono censurate, modificate o vietate.
In Italia, durante il fascismo, la musica doveva servire alla costruzione dell’identità nazionale. Il regime di Mussolini cercava di eliminare ogni elemento che potesse risultare critico, straniero o non “patriottico”.
Un esempio noto è la canzone patriottica “La Leggenda del Piave”. Alcuni versi furono censurati perché ritenuti poco adatti a esaltare il mito della nazione. Allo stesso modo, la canzone “Faccetta nera”, che inizialmente parlava di un legame tra una ragazza africana e un soldato italiano, fu riscritta più volte: la sua prima versione poteva sembrare un invito alla mescolanza razziale, cosa inaccettabile per l’ideologia fascista.
Il jazz, musica nata negli Stati Uniti tra le comunità afroamericane, venne definito dal regime come “musica negroide” e, per questo, proibito. Si trattava di una musica considerata troppo moderna, straniera e legata a una cultura che il fascismo riteneva inferiore.
Anche nella Germania nazista la musica venne utilizzata come strumento ideologico. Hitler voleva che le arti, e in particolare la musica, rappresentassero la “purezza” della cultura tedesca.
Uno degli esempi più evidenti è il compositore Richard Wagner (1813–1883), vissuto nel secolo precedente ma molto apprezzato da Hitler. Wagner scrisse opere epiche e nazionaliste, ricche di riferimenti mitologici e germanici che il regime considerava perfette per rappresentare l’identità ariana. Le sue musiche divennero quasi la “colonna sonora del Reich”.
Al contrario, musiche composte da autori ebrei, comunisti o modernisti vennero vietate. Tra queste anche la musica atonale, d'avanguardia o di origine popolare ebraica. La cultura musicale venne così impoverita, dominata dalla propaganda e da un rigido controllo politico.
In entrambi i regimi, la musica non era solo arte: diventava un mezzo per educare il popolo, per emozionarlo, per esaltare il capo e trasmettere messaggi ideologici. Le canzoni venivano usate in occasioni pubbliche, nelle scuole, durante le cerimonie di partito o nei film.
Questa strumentalizzazione portò alla censura di molti artisti e alla perdita di libertà creativa. Alcuni musicisti furono costretti all’esilio, altri dovettero adattarsi per poter lavorare.
I regimi totalitari come fascismo e nazismo usarono la musica per rafforzare il loro potere e manipolare le emozioni delle masse. Opere che esaltavano il regime venivano promosse, mentre quelle che lo criticavano o non lo rappresentavano venivano censurate o proibite.
Questa parte della storia ci insegna che l’arte non è mai neutrale e che la libertà di espressione è un valore fondamentale. Conoscere questi episodi ci aiuta a difendere oggi la libertà artistica e a riconoscere quando viene minacciata.